Fra scienza e mito, un racconto iniziato cinquanta milioni di anni fa
Fu allora, infatti, che apparvero i primi mammiferi carnivori, quelli che gli scienziati chiamano Miacis: antenati comuni di donnole, cani e gatti, capostipite -fra le altre- della famiglia dei felidi.
Bisogna arrivare a circa 12 milioni di anni fa, però, per giungere a quello che viene considerato come l’antenato dei Felidi moderni.
Lo Pseudaelurus possedeva già il tipico aspetto felino, caratterizzato da spiccata flessibilità delle scapole e della colonna vertebrale, atte a conferirgli quella particolare andatura e postura che ancora oggi qualsiasi possessore di gatti domestici conosce bene.
E’ però Felis Lunensis -apparso in un periodo immediatamente successivo- il diretto progenitore degli attuali gatti selvatici.
Le prime testimonianze di un legame affettivo fra il gatto domestico e l’uomo sono invece storia molto più recente.
Con la nascita dell’agricoltura, infatti, oltre ai vantaggi che l’abbandono del nomadismo e la disponibilità di derrate alimentari in ogni stagione dell’anno comportarono, si fece subito pressante il problema degli animali nocivi.
Si può dire che il gatto debba la sua considerazione proprio al suo nemico giurato, il topo!
Fu una grande opportunità per il gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica) quella di poter disporre di un gran numero di prede -i roditori– attratti dalle colture a dai depositi di quelle antiche civiltà di agricoltori.
E allo stesso tempo una gran fortuna per gli uomini poter contare su di un prezioso aiuto nel controllare il numero di specie infestanti.
In un insediamento risalente al Medio Egitto, databile a circa 4 mila anni or sono, è stata rinvenuta una tomba nella quale, assieme ad un giovane uomo, era stato sepolto il suo gatto accovacciato accanto ai piedi.
A quel punto, oltre ad essere un abile predatore, il gatto doveva già essere considerato animale da affezione, un amico!
Certo, per giungere a questo, la specie è dovuta scendere a non pochi compromessi: primo fra tutti accettare di vivere in territori ad alta densità di popolazione che, per un animale selvatico, non è certo poca cosa.
Questo legame e convivenza con l’uomo portò a far si che l’addomesticazione (sempre che si accetti di definire il gatto un animale domestico) tendesse a ridurne la massa cerebrale del trenta per cento, venissero privilegiati gli esemplari più docili e tolleranti e che si diffondessero alcune varietà di pelo che in natura non avrebbero avuto nessuna chance di diffondersi.
Anche l’alimentazione disponibile in maggior quantità e varietà portò un’altra importante modifica: l’apparato gastrointestinale diventò sensibilmente più lungo di quello del suo parente selvatico.
Inoltre, a differenza di quest’ultimo, i cuccioli venuti a contatto con l’uomo durante la prime settimane di vita tendevano a fidarsi maggiormente di lui una volta diventati adulti.
Una cosa però rimane invariata.
Chiunque si sia soffermato ad osservare il gatto non può non aver notato quella sua speciale inclinazione a rifiutare le imposizioni, la predilizione all’autonomia e il donarsi sempre e solo a sua discrezione.
Insomma, quel qualcosa di selvatico che ci fa ripensare alla natura così come doveva essere agli inizi che tanto ci affascina dei nostri amici a quattro zampe è ancora ben presente nei nostri gattoni domestici.
Magari è accovacciato sul divano, ma il suo libero spirito felino non dorme veramente mai.
E meno male!